Quante volte abbiamo sentito dire, ai bambini ─ Non piangere! ─ spesso seguito da un ─ Non fare la femminuccia!
E quante volte, magari davanti ad un film commovente e strappalacrime, ci siamo accorti che facevamo di tutto per nascondere l’emozione e la voglia di piangere… per vergogna, per non essere giudicati negativamente.
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Non era consentito emozionarsi. Come fosse un incontrovertibile segno di debolezza, di insicurezza.
Sembrava inaccettabile: dovevamo necessariamente imparare a controllare, a reprimere, la nostra emotività.
E non perché ci fossero contesti nei quali sarebbe risultato inadeguato… ma perché era inadeguato e basta, ovunque e sempre.
Era la cultura de l’uomo che non deve chiedere mai supportata, per qualche tempo, persino dai mass-media nella comunicazione pubblicitaria.
Il modello dell’eroe emotivamente inattaccabile, invincibile perché libero da emozioni, solido di fronte al dolore, capace di controllare e reprimere ogni incertezza, trasformandola in assoluta sicurezza. Il modello dell’uomo virile e potente, della donna forte che sa qual è il suo posto.
È tramontata un’epoca. Per fortuna siamo tornati a riconoscere la naturalezza dell’emozionalità, la fragilità nell’animo umano, e a prescindere dal genere. Oggi uomini e donne che si concedono di emozionarsi non sono più deboli e inadeguati, ma umani, vivi, fragili, forti e coraggiosi.

Se oggi chiedessi ad una donna ─ Secondo il tuo punto di vista l’uomo virile può emozionarsi? ─ già so che sentirei rispondermi ─ Perché non dovrebbe?
E l’uomo stesso non valuterà più la donna che si emoziona debole, volubile e fragile come, invece, sarebbe stato scontato un tempo.
Negare la fragilità è fragilità.
Oggi abbiamo riscoperto che essere umani significa emozionarsi. Legittimare quella parte di noi che non analizza, scompone, soppesa, valuta e giudica, ma conosce per identità, per osmosi emozionale, empaticamente, senza interferenze logiche.
Siamo nel mezzo di un cambiamento epocale, stiamo restituendo all’anima il sentire profondo. Quella parte che per secoli è stata concettualmente svalutata e asservita alla razionalità.
L’emozione è il codice dell’esperienza! E non c’è esperienza senza lacrime e sorrisi.

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