Platone e il dilemma millenario tra la mente razionale e la sfera delle passioni

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Emozioni, passioni e desideri hanno per secoli rappresentato, nell’immaginario mitologico, filosofico e religioso, la causa del disorientamento dell’anima.

E’ noto come, la comprensione del rapporto tra la sfera delle emozioni e la mente razionale, abbia affascinato filosofi, letterati e religiosi di tutti i tempi.

La domanda di fondo è sempre stata:

Le emozioni rappresentano un aspetto importante nella nostra vita, o costituiscono invece un limite, una debolezza? Emozionarsi è una qualità, qualcosa di cui godere e fruire, o un difetto dal quale dobbiamo invece sempre più affrancarci, dando spazio all’intelligenza razionale e alla logica?

Molte grandi personalità, nel corso dei secoli, hanno provato a rispondere a queste domande, raccontando la sensibilità emotiva e gli effetti importanti che essa ha nella vita di ciascuno essere umano.

L’arte, la letteratura ne sono piena dimostrazione! Afflizioni, pene d’amore nonché esistenziali, dolori del vivere o del morire, tristezze e depressioni, ma anche meravigliose espressioni delle gioie d’amore, della sensibilità spirituale e della voglia di vivere.

E tuttavia, per tutto ciò che esula dalla sfera artistica, immensa espressione dell’animo umano, parlare di intelligenza equivaleva a parlare di razionalità.

L’emozionalità era e restava passione irragionevole, in certi casi persino affascinante e romantica, ma spiritualmente dolorosa.

Ne è grande esempio la cultura religiosa, che ha associato le passioni all’imperfezione, le emozioni alle debolezze, ed entrambe al peccato, caricandole di connotazioni di colpevolezza, perdizione e dolore eterno.

Questa visione ha dunque alimentato il senso di colpa, di inadeguatezza, e portato al rifiuto dell’esperienza spontanea e naturale, creando una vera e propria dissociazione interiore tra ciò che sentiamo e sperimentiamo naturalmente di essere – da un lato – e ciò che pensiamo e abbiamo interiorizzato che dovremmo essere ma non siamo – dall’altro.

“Giusto” non è, in questo modo, ciò che siamo e proviamo, ma ciò che dovremmo essere.

Si è venuta così a creare, dentro di noi, una scissura tra un peccatore, un demone, ed un’anima superiore che pure ci appartiene, ma che attende di essere purificata di noi stessi, da noi stessi, attraverso la negazione dell’esperienza passionale, la vergogna ed il senso di colpa.

Ed è nel corso dei secoli che questa visione ha accompagnato l’esperienza umana, determinando in alcuni casi gravissime conseguenze sociali, morali e psicologiche.

Tornando indietro nel tempo, nel IV sec. a.C. Platone ci descrive metaforicamente l’anima come una biga alata trainata da due cavalli, guidati dall’auriga. Egli dice:

“Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga!”

Platone ci aiuta, con questa metafora, a comprendere come questa contrapposizione, questo dilemma della ragione salvifica da un lato e dell’emozione che atterra l’anima dall’altro, sia illusoria; come l’anima sia invece l’insieme di emozioni e ragione.

Egli ci racconta come l’auriga, rappresentazione della nostra mente razionale, governi due cavalli: le emozioni.

Il primo, un potente e irrequieto cavallo alato nero, motore del desiderio egocentrico, della competizione conflittuale, che volando nel cielo aperto, tende a trascinare la biga verso la reincarnazione terrena, per permetterci di sperimentarne l’unicità;

Il secondo, uno splendido cavallo bianco alato, motore dell’energia vitale radiante, dell’intelligenza spirituale, orientato verso l’Iperuranio, il cielo divino dove tutto è uno, la coscienza è universale, e tutti ci ritroviamo uniti nell’unità di essere.

Le emozioni terrene, le passioni e i desideri umani da un lato, e poi le emozioni elevate, l’amore, la compassione, le passioni spirituali dall’altro.

L’anima contiene dunque in sé il lievito dell’ego e ne determina la manifestazione, così come contiene in sé la spinta di espansione, l’amore radiante. Essa è sintesi di entrambe le spinte. Dunque, non preda passiva di un antagonista interiore, ma sua stessa ragion d’essere!

Mi piace evidenziale, a questo punto, come la mente razionale cui fa riferimento Platone, l’auriga, non sia la ragione anaffettiva… bensì il Logos! Cioè l’insieme della mente emozionale (pathos, l’emozione, il sentimento, la compassione), della mente logica-analitica (diànoia, ratio, la ragione) e della mente intuitiva-creativa (nòesis, l’intuizione, l’intelletto trascendente i sensi, la sapienza superconscia).

Dunque, l’Auriga è il Logos illuminante che orienta la forza emozionale verso la comprensione universale e la percezione integrata della vita.

E allora si scioglie l’equivoco: la ratio non è contrapposta al pathos!

Rilegittimate allora le emozioni anche nella tradizione del pensiero secolare, ben venga l’Intelligenza emotiva cui oggi approdiamo con grande consapevolezza!

Essere naturalmente sé stessi, emozionali, anche passionali, frena e impedisce la crescita interiore?

Direi di no.

Anzi, direi che il desiderio è il motore della vita, e la passione ne è il sale. Il Logos in noi, l’Auriga, il sole apollineo, illuminerà la nostra esperienza esistenziale.

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Claudio Venuto

Claudio Venuto

Esperto di comunicazione, intelligenza motiva, automotivazione e miglioramento personale. Fondatore del progetto Realize Yourself®.

Formatore, Personal Coach, Trainer psicologico-filosofico. Autore, ricercatore.

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